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Le guerre che inquinano

Quando entrammo nel Kosovo, durante la guerra del ’99, i comandi militari della Nato furono espliciti: non raccogliete niente per terra. Le spiegazioni però furono vaghe. E in un primo momento, mentre scoprivamo le fosse comuni con i cadaveri degli albanesi massacrati dai serbi, quasi ci dimenticammo dell’avvertimento.

Poi l’interrogativo affiorò: la guerra inquina? Alla fine degli anni Novanta dai Balcani cominciò a soffiare un inverno chimico e radioattivo. Invano cercammo di ottenere spiegazioni plausibili per le morti sospette dei militari impegnati in Bosnia. L’unico precedente era la sindrome del Golfo che dopo dieci anni si riassumeva in queste cifre crude:

negli Stati Uniti si ammalarono 132mila persone, quasi un veterano su cinque, 26.500 di malattie sconosciute, non diagnosticate. Malati di uranio? Di inquinamento chimico? Di farmaci sperimentali, di vaccinazioni a oltranza? O di tutto questo insieme, una sorta di cocktail micidiale? Finora non è mai stata data nessuna risposta certa.

Scienziati e studiosi di tutto il mondo, tra questi anche gli italiani, tentarono di penetrare l’imbarazzante mistero che ancora circonda gli “effetti collaterali” della “guerra pulita” e tecnologica.

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