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Il 70 per cento della foresta amazzonica peruviana consegnato alle trivelle

Il 70 per cento della foresta amazzonica peruviana consegnato alle trivelle. Migliaia di indios condannati alla fuga e alla morte. Sono le conseguenze del progetto di sviluppo che il presidente peruviano Alan Garcia ha lanciato per aumentare l’export di gas e di petrolio. Ma i 350 mila indios peruviani, riuniti nell’associazione Aidesep, danno battaglia. Per mesi hanno contrastato i progetti della compagnia anglo-francese Perenco che dice di voler investire due miliardi di dollari in prospezioni: ci sono state molte manifestazioni, strade e fiumi sono stati bloccati per settimane impedendo il passaggio dei mezzi della Perenco. La società ha risposto sostenendo che non esistono prove della presenza di popolazioni senza contatti con il mondo occidentale all’interno dell’area che dovrebbe essere trivellata.

Poi, il 5 giugno, a Bagua, una cittadina a 700 chilometri da Lima, è scattata una risposta violenta, il massacro chiamato la «Tienanmen peruviana». Secondo le fonti ufficiali i morti sono stati 30, di cui 23 agenti della polizia. Ma gli indios raccontano una storia diversa: una carneficina le cui tracce sono state nascoste gettando i cadaveri dei manifestanti nei fiumi. Il racconto di due giovani Belgi, Marijke Deleu e Thomas Quirynen, coinvolti negli scontri e presi di mira dai fucili degli agenti di polizia, conferma la versione più violenta degli scontri.

Il massacro di Bagua ha attirato l’attenzione dei media di tutto il mondo sull’assalto all’Amazzonia. Una delle associazioni che si battono per i diritti degli indios, Survival International, ha lanciato una petizione per fermare l’invasione della foresta. L’Associated Press ha raccolto la testimonianza di uno dei leader degli indios, Santiago Manuin, colpito da quattro proiettili nello stomaco a Bagua. E l’Aidesep, mentre molti dei leader indios sono scappati nella foresta per sfuggire alle minacce (sui giornali peruviani c’è anche chi ha suggerito di usare il napalm contro le popolazioni indigene), ha presentato un appello urgente alla Corte Costituzionale del paese per impedire lo sfruttamento petrolifero di una parte dell’Amazzonia conosciuta come «Blocco 67».

Ma intanto un altro rischio si sta profilando. I primi casi di contagio da influenza A hanno colpito le popolazioni indigene che hanno contatti saltuari con gli indios delle zone più interne: al dipartimento sanitario regionale di Cusco risulta che siano positivi al virus sette membri della tribù dei Matsigenka che vivono lungo il fiume Urubamba, nell’Amazzonia peruviana. Secondo Stafford Lightman, docente di Medicina presso l’Università di Bristol, «i popoli isolati non hanno difese immunitarie verso le malattie infettive che circolano nella nostra società industrializzata e sono particolarmente vulnerabili all’influenza suina. Gli effetti di una epidemia, che potrebbe colpire tutti i membri della comunità simultaneamente, potrebbero essere devastanti perché non resterebbe nessuno in grado di prendersi cura dei malati o di preparare il cibo».

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