Ritorno al Futuro: Avatar di James Cameron

Avatar James Cameron

Guardando i venti minuti di Avatar che James Cameron ha preparato per il CinemaExpo di Amsterdam, presentati in seguito anche al Comic Con di San Diego, è difficile trattenere l’entusiasmo.

Al di là della storia, della sua realizzazione in 3D e dell’evidente ambizione che porta con sé questo progetto, quello di cui ci si rende conto è quanto James Cameron ci sia mancato in questi ultimi venti anni.
Dopo Terminator 2 nel 1991, infatti, il regista ha realizzato solo due film per il grande schermo: True Lies e Titanic.

Il suo ultimo lavoro di fantascienza, quindi, risale a diciotto anni fa e vedendo le sequenze di Avatar ci si rende conto di come siano immediatamente affascinanti e riconoscibili lo stile e il talento di Cameron nel muovere la macchina da presa e nel concentrarsi su una narrazione avvolgente e affascinante.

Anche se è ovviamente molto difficile esprimere un giudizio ‘definitivo’ su Avatar (sembra che la durata finale complessiva superi le tre ore e venti…) i venti minuti di spezzoni visti danno l’idea di un’opera grandiosa e lungimirante in cui la CGI tocca una nuova vetta narrativa, figlia di un immaginario fantascientifico dal sapore letterario.

Pandora, il satellite del lontano pianeta Polifemo, è una luna boscosa: una giungla dove gli esseri umani del futuro sembrerebbero non osare avventurarsi se non attraverso degli ibridi realizzati dalla clonazione della fusione di DNA umano e alieno autoctono.

I Na’vi sono, infatti, degli esseri molto alti e forti dalla pelle blu. Gli uomini entrano in contatto con loro attraverso cloni ‘guidati’ a distanza da militari terrestri.
Jake Sully (Sam Worthington) ha perso l’uso delle gambe. Così si è offerto di entrare in contatto simbiotico con il suo Avatar e potere guidarlo in un’altra vita.

Jake, in questo senso, ricorda il personaggio di Strange Days cui il pusher Ralph Fiennes vendeva ricordi come una droga sintetica in grado di fare immaginare una realtà in cui potesse correre. Cameron, compagno della regista Kathryn Bigelow, aveva prodotto quel film solo qualche anno prima la grande ‘irruzione’ nella realtà virtuale operata dai Fratelli Wachovski con Matrix.

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