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I nostri bambini intossicati dai pesticidi

In occasione della Biodomenica Legambiente e Aiab lanciano un nuovo allarme: i nostri bambini sono a rischio per i livelli di fitofarmaci dell’agricoltura convenzionale. Le normative vigenti non prendono in esame il “multiresiduo” e si basano su valori di tolleranza per adulti…

Se quasi la metà della frutta in commercio è contaminata da uno o più residui chimici (43,9% secondo l’ultimo rapporto “Pesticidi nel piatto” di Legambiente realizzato sui dati ufficiali del Ministero della Salute), è più che probabile che gustando una bella macedonia ingeriremo anche una sostanziosa varietà di sostanze chimiche. E così anche quando gustiamo un succo o qualsiasi altro prodotto a base di frutta. E chi sono i principali consumatori di questi prodotti? I bambini ovviamente, che però andrebbero tutelati in maniera più attenta e mirata.

A lanciare l’allarme Legambiente e AIAB nel corso della Biodomenica 2009, la manifestazione che ha visto scendere nelle piazza di tutta Italia migliaia di agricoltori del bio con i loro prodotti tipici. “La normativa attuale – dichiara il presidente nazionale di Legambiente Vittorio Cogliati Dezza presente alla Biodomenica romana – ancora non prende in considerazione il multiresiduo, cioè la concentrazione su un medesimo prodotto di diversi pesticidi contemporaneamente, e i potenziali effetti che già il buon senso fa immaginare come pericolosi. Inoltre, i limiti delle sostanze chimiche consentite sono stabiliti prendendo in considerazione l’organismo di un uomo adulto. È inevitabile perciò porsi il problema dell’adeguamento di questi limiti all’organismo delle donne e dei bambini”.

Alcuni ricercatori dell’Università di Seattle hanno concentrato infatti la loro attenzione sull’esposizione ai pesticidi nell’alimentazione dei bambini, tenendo conto del fatto che, in relazione alla massa corporea, mangiano più di un adulto e consumano alimenti a più elevato rischio di residui di pesticidi. Lo studio ha analizzato i residui di pesticidi e loro metaboliti in bambini di età pre-scolare e ha scoperto che i piccoli che consumano frutta e verdura biologica presentano una concentrazione di residui sei volte più bassa dei coetanei che consumano prodotti convenzionali. In particolare, la ricerca ha messo in evidenza che i residui dei fitofarmaci, una volta assorbiti con l’alimentazione, si distribuiscono a tutto l’organismo, venendo così metabolizzati dal fegato e intaccando eventualmente il sistema nervoso centrale.

“A fronte dei risultati di tante ricerche che dimostrano la dannosità dei pesticidi – afferma Andrea Ferrante, presidente dell’Aiab – è importante riaffermare che nel settore agroalimentare italiano, i prodotti da agricoltura biologica sono di gran lunga i più controllati, e dunque quelli che forniscono maggiori garanzie al consumatore che li sceglie”.

Numerosi studi mettono in evidenza i rischi di disfunzioni dell’apparato riproduttore (malformazioni del tratto urogenitale maschile, neoplasie al testicolo in età adolescenziale e una diminuzione della qualità del seme), correlate alla presenza di composti in grado di interferire con la normale regolazione ormonale, come appunto i pesticidi. In particolare, alterazioni dei livelli di ormoni durante la fase embrionale e fetale possono avere ripercussioni importanti sulla salute riproduttiva, ma anche sulla maturazione del sistema nervoso.

Studi epidemiologici condotti su gruppi di bambini esposti durante la gravidanza ad alcune classi di pesticidi, soprattutto organoclorurati e organofosfati, utilizzati in aree ad alta produzione agricola, hanno evidenziato che questi bambini andavano incontro ad esposizione cumulativa attraverso la placenta, il latte materno e successivamente l’alimentazione, con conseguenze quali, ad esempio, la riduzione della circonferenza cranica e del peso corporeo alla nascita[1],[2] nonché effetti sullo sviluppo neurologico.[3] A risultati analoghi sono giunti i pediatri del Mount Sinai Hospital di New York, che hanno rilevato la maggior vulnerabilità dei bambini ai pesticidi con danni al sistema immunitario in fase di sviluppo, sul sistema nervoso centrale e su quello ormonale, dichiarando di avere chiare prove che l’esposizione del feto agli antiparassitari organofosforati provoca la nascita di bambini con minor circonferenza cranica e rischio di deficit intellettivo.

In particolare, studi condotti da ricercatori della Columbia University e dell’Università di Berkeley, hanno mostrato che l’esposizione in utero a pesticidi organofosfati induce un ritardo nella maturazione dei riflessi nelle prime fasi di vita neonatale[4] e un maggior rischio di sviluppare disturbi dell’attenzione e iperattività nei primi tre anni di vita.[5]

In Italia, uno studio ha preso in considerazione l’esposizione dei bambini ai pesticidi organofosforici[6], valutando la presenza di metaboliti dei pesticidi organofosforici nelle urine di 195 bambini tra i 6 e i 7 anni di età della provincia di Siena. La raccolta dei campioni si accompagnava a un questionario sullo stile di vita e sulle abitudini alimentari. I risultati di questo studio hanno mostrato, in accordo con gli studi statunitensi, che la concentrazione di metaboliti alchilfosfati era significativamente più elevata nei bambini rispetto a quanto riscontrato in un precedente campione di adulti della stessa zona, anche se le concentrazioni più elevate erano associate più all’uso domestico degli organofosforici – e in particolare del Clorpirifos (CPF) – come insetticidi che alla dieta alimentare.

Studi condotti dall’Instituto Regional de Estudios en Sustancias Tóxicas (IRET), dell’Università Nazionale del Costa Rica (UNA) e dall’Istituto Karolinska di Stoccolma, hanno rilevato un rischio maggiore per i figli di genitori che lavorano nell’ambito agricolo di contrarre la leucemia rispetto a bambini che vivono in ambiti differenti. Al termine dello studio, la Dr.ssa Patricia Mongue Guevara, sottolinea che il contatto di padri e madri con i pesticidi, prima della nascita e durante il primo anno di vita del bambino, contribuisce alla comparsa della leucemia infantile. Lo studio ha anche evidenziato la sinergia tra gruppi diversi di pesticidi: tra gli organofosforati (Diclorvos, Fenamifos, Malation, Metamidofos, Foxim e Terbufos) e erbicidi (Paraquat e Picloram) e fungicidi (Benomil e Mancozeb).Il rischio sembra essere tanto più alto se, durante la gravidanza, è la madre ad essere entrata in contatto con i pesticidi.

Le osservazioni fatte a seguito di questi studi pongono l’attenzione sulla necessità di adottare procedure di valutazione del rischio su un modello sinora non considerato, e cioè sull’organismo di una bambina (per la maggiore sensibilità agli effetti sugli organi riproduttivi) nella fascia d’età più sensibile dal punto di vista dell’organismo, e cioè da zero anni alla pubertà.

“Questa consapevolezza – ha continuato Vittorio Cogliati Dezza – ci spinge a cercare di promuovere, diffondere e segnalare tutte quelle realtà produttive virtuose che in nome della salute dei consumatori e dell’ambiente hanno messo al bando i pesticidi e le sostanze chimiche che facilitano le produzioni a scapito della qualità. Tanto più che l’Italia ha un primato paradossale: siamo infatti tra i principali produttori di alimenti bio ma agli ultimi posti tra i consumatori, dal momento che tantissimi nostri ottimi alimenti hanno un gran mercato nel resto d’Europa e nel mondo ma zero possibilità nel nostro paese”.

Fonte: Legambiente

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