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Odissea africana: il libro di un ragazzo sudanese salutato come un capolavoro.

A 18 anni aveva già percorso 6000 km a piedi e attraversato i confini di otto stati senza passaporto. Anche il Guardian dedica una pagina a “The lost boy” di Aher Arop Bol.

Il viaggio di un ragazzo sudanese attraverso tutto il continente africano per sfuggire alla guerra civile e alla miseria. E’ il tema del libro “The lost boy”, (il ragazzo perduto), opera del giovane Aher Arop Bol, salutata dalla critica internazionale come un autentico capolavoro. Scritto in sole sei settimane, narra la strordinaria voglia di vivere e di lottare di questo venticinquenne, originario di Dinka, Sudan meridionale, fuggito dalla guerra civile che imperversava nel suo paese e arrivato in Sudafrica nel 2002.

L’Observer, edizione domenicale del Guardian di Londra, dedica al libro un lungo articolo riportando i commenti entusiasti di alcune riviste sudafricane come “Drum Magazine” che definisce l’opera “una straordinaria storia di dolore, di disperazione e soprattutto di sopravvivenza”.

LA STORIA – Oggi Arop Bol ha venticinque anni e vive a Pretoria, capitale del Sudafrica. E’ molto soddisfatto del successo di critica che ha avuto il suo libro, ma il suo grande sogno è quello di tornare nel suo paese natio e mettersi nel commercio. Il giovane ha lasciato il Sudan circa 22 anni fa: il suo villaggio allora fu attaccato dai ribelli e da allora si separò dai suoi genitori. Per alcuni anni visse in diversi campi profughi in Etiopia, Kenya e Zimbabwe assieme a uno zio.

I suoi primi ricordi sono legati a questo drammatico periodo quando, come racconta nel suo libro, “migliaia di uomini e donne morivano di fame” e i loro corpi erano ammassati e bruciati in grandi roghi. All’età di cinque anni si separa dallo zio che decide di arruolarsi nel “Movimento armato per la liberazione del popolo sudanese”.

Da allora per il piccolo Arop Bol comincia un’esistenza solitaria. Vive assieme ai rifugiati di guerra e qui conosce altri “lost boy”, ragazzi sudanesi che come lui hanno perduto la famiglia e vivono nei campi profughi. Con loro condivide la solitudine e il dolore, litiga per il poco cibo che riesce a procurarsi e assieme a questi coetanei passa anche notti sotto le bombe.

Come tanti rifugiati di guerra, quando si trova in alcuni campi profughi in Kenya, fa numerosi colloqui per essere adottato da una famiglia occidentale. Ma viene sempre scartato, perché è giudicato troppo giovane e il sogno di trasferirsi in un mondo senza guerra rimane una chimera. A 18 anni ha già percorso 6000 km e attraversato i confini di otto stati africani senza passaporto. Finalmente nel 2002 arriva in Sudafrica. Comincia a fare diversi lavoretti e contemporaneamente studia legge. Poi all’improvviso l’idea del libro che ottiene un grande successo di critica

Per leggere l’intero articolo di Francesco Tortora su corriere.it, Clicca qui

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