VOLONTARIATO FLUIDO, TRA POTENZIALITÀ E CRITICITÀ

VOLONTARIATO FLUIDO, TRA POTENZIALITÀ E CRITICITÀ

Sostenibile, divertente, ma anche fragile. Quello fluido sarà il volontariato del futuro? Presentata ieri a Roma la ricerca CSVnet e Ciessevi Milano.

Ha un titolo evocativo – “Il volontariato postmoderno” – l’incontro organizzato ieri a Palazzo Altieri a Roma da CSVnet, Coordinamento dei Centri di servizio per il volontariato, e Ciessevi Milano per presentare il report intermedio dell’indagine “Fare volontariato ad Expo Milano 2015”. Una ricerca condotta da docenti e ricercatori del Seminario permanente di Studi sul Volontariato, Università di Verona e Statale di Milano tra i 5500 volontari per Expo che erano stati individuati da Csvnet, Ciessevi Milano e i Centri di servizio italiani in vista dell’evento. Analizzando chi sono i volontari che hanno scelto di partecipare a Expo , le loro motivazioni, aspettative, intenzioni future, la ricerca cerca di dare una lettura del fenomeno del volontariato fluido e della sua espansione. Fotografando un volontariato “one shot” che sempre più si affianca a quello tradizionale, cerca di capire in che modo stanno cambiando il volontariato e l’atteggiamento dei cittadini verso le diverse possibilità di impegno sociale.

Chi sono i volontari per Expo

Lo studio è articolato in una parte quantitativa – composta di una fase pre-esperienza, una post-esperienza e di un follow up – e in una qualitativa, per la quale sono state condotte 31 interviste ad altrettanti volontari al termine del loro servizio, individuati con un unico criterio, la residenza a Milano. Alla ricerca quantitativa hanno partecipato 2376 volontari (il 48% del totale dei volontari Expo). Si tratta soprattutto di donne (il 66% del campione), giovani (l’età media è circa 27 anni), di origine italiana.

Oltre il 60% studente. Il 41% non ha mai fatto volontariato in modo continuativo (le cosiddette “New entry”). Il restante 59% ha già svolto attività di volontariato (gli “Experienced”, il 94% dei quali ha svolto o svolge un’attività di volontariato continuativo). Due categorie distinte, quindi.

Più giovani i primi – tra i 17 e i 23 anni – per la maggioranza studenti o in cerca di prima occupazione che hanno saputo della possibilità di fare volontariato in expo dalla famiglia o dagli amici. Più adulti i secondi – dai 31 anni in su –, pensionati, dipendenti pubblici o privati o disoccupati. Caratterizzati da una fiducia generalizzata, nelle istituzioni pubbliche e religiose e nelle organizzazioni non profit e nei partiti, gli Experienced hanno maggior impegno civico, più interesse per la politica e partecipazione religiosa, sono più felici e soddisfatti della loro vita, hanno più autostima. Di contro, le New entry, che risultano più soddisfatti dell’esperienza vissuta ad Expo, risultano in generale più laici e diffidenti, meno interessati alla politica, con un grado di soddisfazione, felicità e autostima minori.

Perchè hanno scelto di fare volontariato ad Expo?

Differenti anche le motivazioni che hanno spinto i due gruppi di volontari a partecipare ad Expo: «Se la conoscenza è la funzione motivazionale preponderante», ha spiegato Anna Maria Meneghini, docente di Psicologia di Comunità all’Università di Verona, «per gli Experienced l’aspetto valoriale e la funzione sociale sono più importanti, mentre per le New entry è più importante la funzione carriera», secondo la quale il volontariato è un’opportunità per fare un’attività che sarà poi funzionale per un lavoro futuro o un avanzamento di carriera.

1391 volontari tra i 18 e gli 83 anni hanno risposto sia al questionario pre che post esperienza, con una prevalenza anche in questo caso di donne (67%). «Il 96%», continua Meneghini, «afferma che farà volontariato in futuro. Il 64% lo farà in forma episodica»: dalla ricerca emerge infatti che sarà più probabile che siano gli Experienced a portare avanti un percorso nel volontariato, sia esso episodico o continuativo, attivandosi per cercare informazioni.

Per i New entry sarà più probabile un impegno futuro in forma episodica. «Expo», ha concluso Meneghini, «ha attirato sia volontari che potenziali volontari. Il volontariato episodico, quindi, può essere una forma che si accosta al volontariato tradizionale e non lo esclude. Il volontariato per eventi può essere un trampolino di lancio per nuove esperienze future, ma quanto questo sarà vero ce lo dirà solo il follow up». Quanti, infatti, di coloro che hanno affermato di voler continuare un percorso nel volontariato lo hanno effettivamente fatto? E in che modo?

E come si orienteranno in futuro?

Per il futuro, come ha spiegato Antonella Morgano ricercatrice dell’Università di Verona, che ha presentato la parte qualitativa dello studio, basata sulle 31 interviste su aspetti motivazionali, aspettative e grado di soddisfazione di altrettanti volontari residenti a Milano a conclusione della loro esperienza, «Le New entry sono più orientate verso un volontariato per eventi e episodico, plurale e articolato, mentre gli Experienced verso uno strutturato». Con una differenza tra volontariato continuativo in termini di sacrificio, tempo, impegno richiesto profondo e costante, «il cui valore aggiunto è di tipo sociale e si acquisisce a livello umano, e quello episodico che ha una fine, è forma fluida e quindi più vivibile e non richiede una ristrutturazione del quotidiano. Più divertente, suo valore aggiunto è l’incremento delle conoscenze e delle competenze. L’associazione viene vista come antitesi al volontariato per eventi perché rischia di allontanare i potenziali nuovi volontari, ma non se ne misconosce l’utilità se considerata come punto di raccordo tra le disponibilità dei volontari per l’organizzazione dell’evento. Un’associazione da cui ottenere più che un’associazione a cui essere necessitati a dare». Un volontariato, quindi, come ha sottolineato Morgano, sfaccettato, «che viene piegato e cucito sulla quadratura di impegni, necessità e disponibilità di ognuno».

Il volontariato fluido assomiglia più a un viaggio

La partecipazione tende quindi a diventare più puntuale, secondo Maurizio Ambrosini, docente di Sociologia all’Università di Milano, mentre è in calo quella più costante, legata ad un’appartenenza: «Quando si intervistano i responsabili associativi prevale il pianto sulla partecipazione, ma quando si intervista la gente i numeri crescono.

Quindi al volontariato si partecipa senza passare per le associazioni, con una radicalizzazione di queste forme soggettive del volontariato». Il “per sé”, continua Ambrosini, «tende ad avere più rilievo rispetto alla dimensione dell’impegno pubblico e dell’altruismo. Questo volontariato assomiglia più a un viaggio, ha le caratteristiche della puntualità e della leggerezza. Una forma di partecipazione che incarna molto la dimensione della socialità e dell’incontro». Si bypassa, quindi, l’intermediazione e si sceglie direttamente, senza passare per le associazioni, in che modo spendere il proprio impegno volontario. «È vero», per Ambrosini, «che queste nuove forme di volontariato esaltano la dimensione soggettiva dei volontari», così come è vero che il soggettivismo non è per forza una cosa negativa, ma altrettanto vero è che alcuni problemi, di fatto, esistono, come ha sottolineato lo stesso Ambrosini: «il volontariato individuale arriva via internet ed è più soggetto ad auto rappresentazioni della solidarietà, che sono meno approfondite, ed è più fragile.

Il quadro delle rappresentazioni di cosa è il disagio, quindi, ha le opzioni o dell’autorappresentazione o della rappresentazione mediatica». Loredana Spedicato, volontaria di Baobab Experience, l’associazione nata dall’impegno di molti cittadini contro l’emergenza dei rifugiati in transito bloccati per molto tempo a Roma nel 2015 dopo la temporanea sospensione degli accordi di Schengen, ha raccontato che «fare volontariato a Baobab per molti è stato come soddisfare un bisogno primordiale. All’inizio c’è stata molta improvvisazione, ma l’abbiamo man mano superata acquisendo la consapevolezza che anche il volontariato fluido non può prescindere dalla competenza». «Ci siamo strutturati, quasi contro il volere dei volontari perché dovevamo essere riconosciuti dalle istituzioni», ha continuato Spedicato, che ha riconosciuto di essere stata la prima a non essere convinta di una strutturazione che comporta una assunzione di responsabilità.

Le questioni aperte (anche metodologiche)

Il volontariato fluido, occasionale, che sempre più va stabilizzandosi e che dalla ricerca sembra emergere come “il volontariato del futuro”, è un fenomeno da interpretare, che interpella quello tradizionale e strutturato. Per Ambrosini «il compito delle organizzazioni strutturate resterà fondamentale nell’intercettare le nuove forme di volontariato episodico. Queste possono aiutare la transizione dalla spontaneità all’organizzazione, affiancarsi alla mobilitazione intermittente, ad esempio per i grandi eventi, avvalersi dello sviluppo di un associazionismo specializzato». Il punto, quindi, resta la transizione dall’impegno occasionale a quello continuativo e organizzato.

Tuttavia, premesso quanto ha ribadito il presidente di CSVnet Stefano Tabò («Queste sono forme che non si possono trattenere, né circoscrivere, nè predeterminare. Il volontariato è prima di tutto libertà, ovviamente associata alla responsabilità: e noi dobbiamo valutare con molta attenzione i rischi di depistare, ostacolare o perfino strumentalizzare questa nuova stagione del volontariato») restano aperte le questioni sollevate da Ambrosini su un volontariato occasionale che, con tutte le sue potenzialità, è, in quanto tale, più fragile. Così come resta aperta una questione più di tipo metodologico: quanto ha pesato sulla ricerca qualitativa il fatto che i 31 volontari intervistati fossero esclusivamente di Milano? Se fossero stati intervistati anche volontari provenienti da realtà diverse, il loro portato esperienziale, culturale, di vita avrebbe condotto a risultati diversi in merito alle motivazioni e alle aspettative che li hanno condotti ad Expo?

Fonte: www.retisolidali.it

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