Startup a vocazione sociale, quando oltre l’impresa c’è di più

Startup a vocazione sociale, quando oltre l’impresa c’è di più

Puntano al profitto ma migliorano la qualità di vita dei cittadini, offrendo servizi: dall’ambiente, alla sanità, passando per l’editoria. Gli investitori hanno più incentivi: il 25 per cento in meno sull’Irpef e il 27 sull’Ires.

C’E’ la cooperativa che aiuta anziani e disabili. C’è la rete di medici a basso costo. C’è la matematica. Ci sono persino i fumetti. Puntano al profitto, ma migliorano la qualità di vita dei cittadini. Come? Offrendo servizi. Dall’ambiente, all’editoria, passando per l’istruzione, il turismo sociale, la ricerca, la sanità. Tutto in modo nuovo, puntando sulla tecnologia. Sono le startup innovative “a vocazione sociale”. Una definizione applicata dallo scorso gennaio. Grazie a un aggiornamento del registro speciale delle imprese innovative.

Al momento, sono 63 su un totale di 1968. Ma il trend è in crescita. Una specie protetta? “No, ma meritano una tutela particolare perché puntano non solo a creare profitto per chi le fonda e ci lavora, ma anche a soddisfare gli interessi della comunità”, spiega Mattia Corbetta, membro della segreteria tecnica del Ministero dello Sviluppo economico. Ecco perché chi investe in queste startup ha più incentivi: il 25 per cento in meno sull’Irpef e il 27 sull’Ires. “È una tendenza che s’inserisce in un filone culturale molto ampio – dice Corbetta – per far fronte alla crisi dello Stato sociale, si fa sempre più ricorso al terzo settore e all’impresa sociale“.

Cooperativa sociale esercizio vita, quando lo sport migliora la vita. “Il movimento è un bisogno, l’esercizio è vita”, è lo slogan di Esercizio vita, startup dell’Emilia Romagna, che promuove l’attività fisica per migliorare la quotidianità di disabili e anziani. Nata dall’idea di tre laureandi in Scienze motorie dell’università di Ferrara – Michele Felisatti, Luca Pomidori ed Enrico Pozzato – oggi conta circa 400 utenti. Con un’età media di sessantacinque anni. Partire non è stato facile. “Come tutti i giovani che vogliono avviare un’impresa, abbiamo faticato per recuperare i fondi”, racconta Felisatti. “C’è stata la classica gestione di cassa, quando avevamo denaro a disposizione, lo spendevamo. All’inizio collaboravamo con l’università: metà giornata lavoravamo tra le aule, l’altra mezza per la startup. Una sfacchinata”. Nel maggio del 2011 la decisione di aumentare il ritmo. E ampliare i servizi. Fino alla creazione di una rete di palestre legate al sistema sanitario.

“Interveniamo per fare prevenzione, o subito dopo il fisioterapista, facciamo attività fisica adattata ed esercizio fisico adattato. Non solo: sul territorio siamo una struttura di riferimento per chi subisce un trapianto di organi. Aiutiamo i pazienti a tornare a una vita normale fisicamente e psicologicamente”. La forma societaria scelta? Quella cooperativa, sia come filosofia di vita con l’obiettivo di “creare lavoro per i neolaureati”, sia per spirito di servizio. “Lo scopo non è fare profitti – assicura Felisatti – ma lavorare in un certo modo: sappiamo bene che per le persone anziane è difficile arrivare alla fine del mese, perciò manteniamo bassi i costi dei servizi”.

Redooc, se la matematica è pop. Tradurre la matematica nel gergo e con lo stile dei ragazzi. Fino renderla divertente. Impresa impossibile? Non per Nicolò Ammendola e Chiara Burberi: ventisei anni lui, quarantasette lei. Un lavoro condiviso in una società di consulenza per la formazione degli adulti. Poi l’idea. È una sera di maggio 2013, quando i due, a cena insieme in un ristorante di Milano, decidono di unire le loro passioni: per l’insegnamento, per i ragazzi e per le discipline scientifiche. È nata Redooc. Con l’obiettivo di rendere la matematica pop. Spiega Ammendola: “Lo scopo è diffondere le materie Stem – scienze, tecnologia, ingegneria e matematica – a livello scolastico.

Tutto grazie a una piattaforma online, che stiamo sviluppando da nove mesi e mette a disposizione contenuti video. Con format particolari: durano poco, ci sono tanti esempi legati alla vita quotidiana e si gioca molto”. S’inizia con la matematica. Perché è vero: nel 2012 i ragazzi italiani hanno migliorato il loro rapporto con i numeri conquistando la 32esima posizione, su sessantacinque, nei test dell’Ocse. Ma i risultati rimangono ancora sotto la media dei paesi più industrializzati. “Perciò copriremo l’intero programma del biennio del liceo scientifico – prosegue Ammendola – rivolgendoci non solo agli studenti, anche ai genitori e agli insegnanti. Nessuna sostituzione: operiamo in parallelo”. Leggerezza e serietà: è il loro mix vincente. L’unico problema? Lo rivela Burberi: “Quando dico pop, io penso ad Andy Warhol, mentre i ragazzi pensano a Justin Bieber”.

Comics Fu, l’editoria senza intermediari. Tre informatici e un amore. Per i fumetti. “Siamo dei lettori appassionati e volevamo passare al digitale, ma non c’era alcun sistema che ci soddisfacesse”, spiega Michele Valzelli. Così con Giovanni Pensa e Michele Zamboni hanno creato Comics Fu. Il lavoro nei ritagli di tempo: la sera e durante il fine settimana. Come le vecchie startup. “Ma noi non abbiamo il garage”. L’iscrizione nella sezione delle imprese innovative a vocazione sociale è avvenuta d’ufficio. “Una sorpresa anche per noi – ammette Valzelli – anche se il nostro approccio può essere definito sociale. Perché? “Copriamo un modello di mercato, diverso da quello vigente, in cui c’è la vendita diretta dal lettore all’autore. Senza intermediari. Tratterremo una percentuale molto bassa, anche se è ancora da definire. Il profitto sarà lasciato il più possibile nelle mani degli autori”. A breve l’inaugurazione ufficiale della piattaforma, ancora in versione beta. Con gli sceneggiatori della Villain Comics, cinque giovani romani. E in futuro? “Cominciamo con il mercato del fumetto italiano, ma se l’idea funziona, pensiamo di lavorare anche all’estero”.

Medici in famiglia, assistenza sanitaria carente? Ci pensa la startup. In Lombardia hanno messo in piedi una rete di medici e specialisti che si occupa del benessere psicofisico. In tutti i suoi aspetti. Dalla psicologia, allo Yoga, alla ginecologia, fino alla fisioterapia. I prezzi? Contenuti. Le visite mediche costano tra i cinquanta e i sessanta euro, quelle psicologiche dai trentacinque ai quaranta. Gli utenti? Un centinaio. Sono la startup Medici in famiglia, nata dall’esperienza di un’organizzazione no profit, l’associazione Panda: un ambulatorio psicologico per mamme in difficoltà e bimbi piccoli. “Lavorando negli ospedali – dice Paolo Colonna, uno dei fondatori – abbiamo capito che il nostro sistema sanitario, molto efficiente ad esempio per le cardio emergenze, è invece carente in ambito ambulatoriale.

Passano settimane, se non addirittura mesi, per riuscire a fare un esame, o una normale visita di controllo. Che fai? Vai dal privato? Ma oggi le famiglie del ceto medio spesso non possono sostenere questa spesa”. A risolvere il problema, e accelerare i tempi, hanno pensato loro. Grazie a un sistema di prenotazioni telefonico e online. Come funziona? “Oltre al nostro ambulatorio, abbiamo coinvolto dei medici del territorio che mettono a disposizione parte del loro tempo, visitano i pazienti nel loro studio, ma alle nostre tariffe. C’è anche un servizio a domicilio. I profitti? Saranno usati per dare assistenza gratuita”. Come fanno già con la visita sospesa: chi ha la possibilità, paga una visita in più. Per chi non può permettersela.

Mhc progetto territorio, il cittadino conta. “La nostra cooperativa ha due anime: una di provenienza urbanistica, legata alla rappresentazione territoriale, l’altra che punta sulla partecipazione dei cittadini”. Così Giovanni Ruffini spiega Mhc progetto territorio: otto architetti urbanisti, uno spin-off accademico dell’università degli studi di Firenze e una missione, coinvolgere sempre più gli abitanti nei processi di trasformazione urbana e territoriale. Con mezzi di rappresentazione interattiva e, in particolare, con le tecnologie di informazione e comunicazione geografica. “I processi partecipativi si stanno diffondendo ovunque.

In Inghilterra, Stati Uniti, Australia. Qui, ad esempio, alcuni proprietari di negozi sfitti hanno affidato i loro locali gratis per la realizzazione di idee in grado di rivitalizzare la vita del quartiere. Un approccio dal basso, efficiente. Così noi puntiamo a un coinvolgimento informato, a mettere abitanti, turisti e visitatori
nelle condizioni di poter partecipare alla trasformazione della città in cui vivono o in cui sono in vacanza: dare conoscenze e ricevere conoscenze. Uno scambio reciproco”. Collaborare per migliorare il territorio: sono le parole d’ordine. La loro base è in Toscana ma hanno progetti anche a San Salvador, in centro America, con l’associazione Medina per la cooperazione tra i popoli. Tra i lavori in corso c’è la Mappa emozionale di Firenze: una piattaforma web, che partirà a maggio, in cui saranno gli abitanti o i visitatori della città a “mappare” i luoghi in base alle emozioni provate.

Fonte www.repubblica.it

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