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Ecco perché l’italia è un paese senza futuro e per vecchi…A Oxford con la borsa che Cota vorrebbe tagliare

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Ventisette anni, calabrese, si è laureato all’Università a Torino e oggi lavora a una delle più importanti ricerche sulle scienze sociali.

Quando sente che il Piemonte vorrebbe concedere le borse di studio soltanto ai piemontesi, gli scappa da ridere. «Davvero? Non lo sapevo. In compenso mi hanno detto che il governo ha tagliato dell’80 per cento i fondi per il diritto allo studio. Sempre peggio».

Dalla sua stanza, a Oxford, si può guardare l’Italia con un po’ di distacco e la serenità di avere 27 anni e lavorare a un programma di ricerca che in Italia certi studiosi di 40 o 50 si sognano. Emanuele Ferragina è un paradosso vivente di quel che l’Italia e il Piemonte stanno mettendo in discussione. Aveva diciott’anni quando lasciò Catanzaro, in mano una borsa di studio per l’Università di Torino. «Volevo studiare Relazioni internazionali. L’unica alternativa era Gorizia. Non ho avuto dubbi». Nemmeno dieci anni dopo ha acciuffato un posto a Oxford, dove fa ricerca e insegna Politiche sociali comparate. E ora che guarda alle beghe di casa nostra e ai volantini con i meridionali che fanno il gesto dell’ombrello ai piemontesi, la voglia di ridere sparisce: «Senza quell’aiuto io non avrei potuto laurearmi. La mia famiglia non se lo poteva permettere».

In Calabria il corso di laurea che Ferragina aveva scelto non c’era. «Senza la borsa di studio del Piemonte non so dove sarei oggi. Non qui, di sicuro. E come me decine di studenti che abitavano al Collegio Einaudi. Eravamo tanti, e non solo dal Sud». Ha continuato a vincere una borsa dietro l’altra: per la doppia laurea Torino-Science Po Bordeaux, per l’École de Commerce di Parigi. Nel 2006 si è laureato, sempre a Torino, sempre grazie al sostegno economico. Un anno dopo era in Inghilterra. Senza rimpianti: «Volevo dedicarmi alla ricerca. Il professore con cui mi sono laureato, Nicola Negri (docente di Sociologia economica all’Università di Torino), e i suoi colleghi francesi con cui avevo lavorato, mi hanno consigliato di fare le valigie». Guai a parlare di fuga di cervelli: «Il problema non è se un italiano va a lavorare o studiare all’estero. Il guaio è che pochissimi stranieri scelgono l’Italia. Io lavoro insieme con ragazzi di ogni nazionalità, ma in paesi come Francia o Germania per ogni giovane che va via ce n’è uno o più d’uno che arriva dall’estero».

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